La legge Blocca Stipendi sembra essere la soluzione al problema di salari fermi dagli anni ’90: cos’è e cosa comporta.
Degli stipendi se ne parla da 30 anni. Decenni in cui si discute del fatto che quelle cifre sono ferme, mentre l’inflazione è andata avanti – ma erodendo letteralmente il potere d’acquisto. Ed è su questo discorso molto sentito che un economista de Il Fatto Quotidiano ha lanciato la bomba. Una bomba che, in realtà, c’è sempre stata, ma che nessuno sembrava voler disinnescare.

Ecco, da quella miccia sono risorte discussioni e, finalmente, anche una proposta concreta. Una legge. Una di quelle che, se approvata, può davvero cambiare qualcosa. Si tratta di un meccanismo che prevede un adeguamento annuale degli stipendi. Ma non è la solita decontribuzione: è un aumento vero, legato direttamente all’andamento dell’inflazione. Una soluzione tanto logica quanto dimenticata, se si pensa che nella vita reale – quando tutto aumenta – dovrebbe aumentare anche lo stipendio.
Il motivo? Abbastanza palese. Ma i dati lo rendono ancora più evidente: chi guadagna 1.500€ oggi ha meno potere d’acquisto di chi ne prendeva 1.200 nel 2008. Per un Paese del G7, più che un rallentamento, è una retromarcia col freno a mano tirato. E da qui nasce la soluzione.
Una legge che riattiva gli stipendi fermi da trent’anni
Si chiama ‘Sblocca Stipendi’ ed è stata presentata da Alleanza Verdi e Sinistra a luglio 2025. L’idea di fondo è quella di ripristinare un meccanismo automatico che aggiorni ogni anno (entro fine settembre) i salari di lavoratori pubblici e privati, in base all’inflazione registrata con un indice chiamato IPCA.

Quindi, se nell’ultimo anno la vita è aumentata del 6%, anche lo stipendio dovrebbe salire del 6%. Ma c’è anche un’aggiunta importante: se una persona ha un contratto di lavoro scaduto (cioè bloccato da mesi o anni), avrà un extra del 50% sull’aumento previsto. In pratica: se lo stipendio normale cresce del 4%, chi ha il contratto scaduto prenderà il 6% (4 più la metà in più).
Un modello che riecheggia la vecchia scala mobile – abolita negli anni ’90 – ma adattato ai tempi di oggi, con un sistema più trasparente e mirato. A coprire i costi, un aumento delle tasse sui capital gain dal 26 % al 30 %, che garantirebbe circa 2 miliardi l’anno.
Ma il punto è proprio questo: chi può davvero fermare la legge? Innanzitutto la maggioranza politica, che storicamente non ama i meccanismi automatici legati all’inflazione e teme rigidità nei conti pubblici. Poi c’è il tema delle coperture: quei 2 miliardi recuperati tassando i capital gain non piacciono a tutti, specie a chi protegge rendite e investimenti.
E infine, c’è il rischio più concreto: che tutto venga insabbiato, che il testo si areni in commissione e finisca dimenticato, senza mai arrivare al voto. Insomma, la proposta c’è. Ma per trasformarla in realtà, serve una cosa che in Italia spesso manca: la volontà di far emergere questo bisogno e di non far cadere una nuova proposta nel dimenticatoio.