Fermariello

dal 23 giugno 2022

A cura di Eduardo Cicelyn

L’opera di Sergio Fermariello si sviluppa da oltre trent’anni con un segno-guerriero che invade ogni spazio, contaminando la superficie della rappresentazione. Nel tempo che è passato e nello spazio che si è moltiplicato, di volta in volta diverso, quel segno ha cambiato misura, si è esteso, ha creato calchi ed ombre, se n’è distaccato, è diventato taglio e inserto, ha rotolato e navigato nel mondo, e così il suo senso misterioso non ha mai smesso di essere indeterminato. Movimento, moltitudine, proliferazione: paradossi figurativi che si formano come se avessero significati dei quali nessuno sa, né nulla può dire. Con sé il guerriero di Fermariello non porta un codice d’interpretazione, ma solo quel segno che si ripete all’infinito. Come uno scrivano antico o un moderno calligrafo, l’artista reitera un solo gesto con poche illusioni. Tradurre è impossibile: il segno è indecifrabile, non si può far altro che trascrivere. Non racconta. Non si spiega. Non prevede un lieto fine. Il segno fa la guerra al linguaggio dell’arte e, riproducendosi come la cellula impazzita in un corpo malato, invade il territorio della creazione estetica per disarticolare il sistema delle trasmissioni visive. Fermariello, al pari dei suoi coetanei graffitisti americani Haring e Basquiat, ha concepito il segno-immagine come una lettera vivente, una vera e propria forma di vita. Da europeo di stirpe mediterranea non ha però creduto che il destino del linguaggio nuovo fosse di entrare nel circuito della comunicazione sociale e dunque di viaggiare leggero e veloce per sovvertire usi e costumi. L’artista napoletano ha guardato indietro, camminando a ritroso nel tempo e nella storia, cercando l’origine, il senso arcaico di qualcosa che viene prima e che quando comincia non si ferma mai più. Il suo segno è guerriero perché non trova mai pace, non conosce riposo, è produzione di vita, inizio incessante, senza termine, indefinito. Tutt’uno con l’istinto biologico che spinge ogni organismo vivente a riprodursi contro ogni logica di moderazione, il codice Fermariello sembra dispiegarsi con una potenza fine a se stessa. A condurre il gioco, perché di un gioco vero e proprio si tratta, è l’artista che affina lo sguardo per vedere sempre più lontano e pensare l’impensabile. Dopo la pandemia abbiamo compreso la forza contagiosa del virus, la variante oscura del progetto umano di dominare il mondo riempiendolo di sé fino allo spasimo. E sappiamo anche che l’arte non cura, non guarisce e non dà conforto, nonostante alcune opere contemporanee funzionino come i termometri, perché prima del tempo sembrano sentire e misurare l’alterazione provocata dalle malattie sociali. Il segno-guerriero, tra queste, non è un male e non è una medicina. Solo un segnale d’allarme che viaggia nel mondo dalla notte dei tempi. Fermariello lo custodisce e lo diffonde come il linguaggio segreto che appartiene a tutti, la pietra filosofale che tutto trasforma in arte, l’altra cosa, dopo il virus, che gli uomini passano l’uno all’altro senza saperlo.

Sergio Fermariello