Dopo un incendio avvenuto in una chiesa, prese vita il primo ed unico museo dedicato al Purgatorio, dove giacciono presunte prove dell’aldilà.
«Per correr miglior acque alza le vele/omai la navicella del mio ingegno/che lascia dietro a sé mar sì crudele;/ e canterò di quel secondo regno/dove l’umano spirito si purga/e di salire al ciel diventa degno», citò Dante Alighieri in quella che oggi conosciamo come la Divina Commedia, un’opera che ha fissato per sempre nell’immaginario comune la visione del Purgatorio. Una visione che ancora oggi sopravvive, complice chi non solo ci crede, ma sostiene di avere prove concrete dell’aldilà.

Ed è così che nasce il Museo delle anime del Purgatorio, che non è soltanto un luogo di racconto e teoria, ma un vero e proprio archivio di testimonianze. Tutto ebbe inizio il 2 luglio 1867, quando un incendio – uno di quelli che potevano fare centinaia di vittime – scoppiò durante la messa, sull’altare della cappella della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Prati.
La pala rimase intatta, ma sulla parete annerita apparve – o almeno così giurano i presenti – un volto sofferente. Un volto che, secondo i testimoni, era lo stesso che avevano visto durante le fiamme. Fu questo episodio a spingere padre Victor Jouët a raccogliere ogni testimonianza simile, fino a dare vita al piccolo museo che oggi conosciamo.
Il Museo delle anime del Purgatorio: le reliquie presenti
La reliquia che colpisce di più è senza dubbio la camicia da notte di Giuseppe Leleux di Wodecq, con l’impronta nitida di una mano sulla manica. La storia racconta che fu sua madre, già morta da anni, a lasciarla. Si sarebbe presentata al figlio per rimproverarlo della vita sregolata e spingerlo a pregare di più. Poco più in là c’è anche il libro di preghiere della stessa donna, con una pagina segnata da un’impronta digitale scura: come se avesse voluto ribadire il concetto, ma per iscritto.

Da un convento tedesco arriva invece una cuffia di lino, bruciata proprio in corrispondenza della forma di una mano. Secondo chi la portò qui, apparteneva a una suora che aveva ricevuto la visita di un’anima del Purgatorio in cerca di suffragi. E poi c’è un pezzo di tonaca dal Belgio, con un’impronta annerita che, a detta della leggenda, fu lasciata da un confratello già morto, tornato per farsi ricordare nelle preghiere.
Non mancano neppure pagine di libri annerite solo in punti precisi, come se qualcuno le avesse toccate con dita incandescenti. Non bruciate a caso, ma segnate di proposito. E ogni volta la storia è la stessa: un’apparizione improvvisa, un messaggio lasciato in fretta, e poi di nuovo il silenzio.
Oggi, il Museo delle Anime del Purgatorio si trova all’interno della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Prati, sul Lungotevere. È piccolo, nascosto quasi, ma ha quell’atmosfera che ti fa sentire come se stessi davvero sfogliando un archivio dell’invisibile. Che ci si creda o no, è difficile uscire senza aver pensato almeno per un attimo che, forse, certi legami non finiscono mai davvero.