Tra arte, memoria e simbolo: il giardino che trasforma i labirinti di Borges in un’esperienza reale a Venezia.
“Il labirinto è una casa costruita per confondere gli uomini”, scrisse Jorge Luis Borges. E aveva ragione: basta trovarsi davanti a più strade per scoprire quanto sia facile smarrirsi. Per lui, infatti, il labirinto non era solo un disegno di siepi o di muri, ma il simbolo dell’esistenza stessa. Un intreccio di scelte, deviazioni e possibilità infinite.
Non stupisce che la moglie, Maria Kodama, abbia voluto che fosse Venezia – città che Borges amava e che già di per sé è un labirinto d’acqua e pietra – a custodire un giardino con il suo nome. Così, nel 2011, è nato il Labirinto Borges sull’isola di San Giorgio Maggiore, progettato da Randoll Coate, diplomatico inglese con la passione quasi ossessiva per i labirinti. Oggi accoglie migliaia di visitatori, attratti non solo dalla precisione delle sue forme, ma dal senso profondo che custodisce: un viaggio tra enigmi, smarrimenti e rivelazioni.
Non c’è dubbio che Jorge Luis Borges è stato uno degli scrittori più visionari del Novecento. Basta scovare nei suoi racconti per capire che non c’erano solo trame, ma veri e propri intrecci di specchi, rimandi, labirinti. Per lui la letteratura era un luogo in cui perdersi, un territorio fatto di simboli e di enigmi, dove ogni parola apriva la strada a infinite possibilità.
Non a caso, il labirinto è stato uno dei suoi temi ricorrenti, tanto da diventare quasi la metafora della sua stessa scrittura: un continuo rincorrersi di sentieri che non conducono a un’unica verità, ma a un’infinità di percorsi.
Dopo la sua morte, fu la moglie Maria Kodama a trasformare questo simbolo in realtà. Non scelse a caso Venezia, città che Borges amava e che già di per sé vive di canali che si intrecciano come vicoli di un’enorme scacchiera. Sull’isola di San Giorgio Maggiore volle dunque un luogo che fosse al tempo stesso omaggio e riflesso del marito: il Labirinto Borges.
A raccogliere la sfida fu l’artista e paesaggista inglese Randoll Coate, con la collaborazione di Marco Hadjidaki e Luigi Sperich, che si occuparono di tradurre quell’idea in forme precise. Il risultato è un dedalo di oltre tremila piante di bosso, modellate in modo da comporre il cognome dello scrittore se osservato dall’alto. Non un semplice giardino, ma un’opera vivente che custodisce il senso più autentico della sua poetica.
Ed è per questo che chi visita queste l’isola di San Giorgio non entra soltanto in un labirinto di siepi ‘tagliate bene’. Ci si immerge in quello stesso universo di specchi, illusioni e sentieri infiniti che Borges aveva costruito con le parole. Le stesse che hanno preso forma e continuano a dare voce all’artista e a chi si rivede in lui.
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