A Torino c’è una costruzione così sottile che sembra uno scherzo, e invece è lì da più di un secolo a sfidare le leggi della gravità.
In un mondo dove ormai ci sorprendiamo poco – tra grattacieli che bucano le nuvole e case appese alle scogliere – capita ancora di trovarsi davanti a qualcosa che ti fa fermare. Guardi. Strizzi gli occhi. E pensi che, questa volta, la mente ti abbia fatto un brutto scherzo.

Succede a Torino, in pieno centro, davanti alla Fetta di Polenta. A differenza di quanto suggerisca il nome, non è nulla di culinario, bensì una palazzina talmente stretta che sembra disegnata da qualcuno che ha finito il foglio – o i mattoni, dipende dai punti di vista. Eppure sta lì, gialla e dritta, dal lontano 1840. Non un segno di cedimento, nonostante all’inizio qualcuno giurasse che prima o poi sarebbe crollata.
Il nome? Arriva dal colore acceso della facciata, che ricorda una fetta del piatto più piemontese che ci sia. E dietro a questa forma assurda c’è lui, Alessandro Antonelli – sì, lo stesso della Mole – che un giorno ha deciso che quel pezzetto di terreno stretto e triangolare meritava una sfida. E l’ha vinta.
La storia della Fetta di Polenta: l’architetto che sfidò le leggi della fisica
Il terreno, per capirci, era poco più di una fetta di pizza piegata in due: stretto e storto, incastrato tra via Giulia di Barolo e corso San Maurizio. Lato più corto? 54 centimetri: meno della larghezza di una lavatrice.

Antonelli la costruì per sfruttare un lotto di terreno minuscolo e triangolare che nessuno voleva, e per dimostrare che anche uno spazio ‘impossibile’ poteva diventare una casa vera e stabile. Era una sfida tecnica e personale, tanto che, tra le critiche, decise pure di andarci a vivere per zittire tutti.
Appena finita, la palazzina è diventata il bersaglio di critiche e battute sul fatto che potesse reggere per più di una manciata di anni. Antonelli, stanco di sentirseli ripetere, prese la decisione più clamorosa: andarci a vivere.
E non solo ha retto: col tempo, la ‘Fetta’ è cresciuta. Sono stati aggiunti altri due piani, per dare più spazio agli inquilini ma anche per dimostrare che la struttura poteva sopportare il peso extra. All’epoca fu quasi una provocazione, certo, ma oggi è la prova della genialità del progetto.
All’interno, le stanze sono strette ma vivibili. I muri portanti sono robusti, il peso è distribuito in modo sapiente e ogni centimetro è sfruttato. Di taglio sembra un foglio infilato tra due strade, ma entrando ci si rende conto che la prospettiva inganna.
Oggi, dopo la bellezza di 180 anni, la Fetta di Polenta è privata, ma davanti alla facciata gialla si ferma di tutto: turisti, fotografi, influencer a caccia di scatti impossibili. Sui social è diventata un piccolo cult, al pari di altre stranezze architettoniche sparse per il mondo.