Sembra arte, in realtà nasconde un paese intero sotto una lastra di cemento

Un paesaggio bianco, tagliato da fenditure scure: sembra un’opera astratta, ma sotto, c’è il cuore di un intero paese.

Da lontano sembra solo una distesa bianca, quasi un lenzuolo steso al sole siciliano, che da quanto immenso, mette una certa suggestione. Avvicinandoti capisci che non è una piazza, né una cava: è un labirinto di crepe regolari, muri bassi che disegnano la pianta di un paese cancellato.

Cretto di Burri visto dall'alto
Sembra arte, in realtà nasconde un paese intero sotto una lastra di cemento (credit Fb: @Comune di Gibellina – Pagina Istituzionale, video di Rai 1) – lacasamadre.it

Sotto quel cemento c’è la memoria di Gibellina vecchia, travolta dal terremoto del Belice nel 1968. Lì, tra macerie e assenza, Alberto Burri immaginò un gesto semplice e radicale: coprire le rovine con un ‘cretto’, come la terra spaccata quando si secca, si crepa, a causa dell’imprevedibilità della natura. Dall’altra, una visione di speranza: quella del labirinto fatto di strade, quelle che talvolta ci fanno perdere, ma rimangono la chiave per andare avanti. Ogni percorso ci fa andare avanti e, sì, talvolta anche indietro.

Con questa filosofia nasce qualcosa di immenso. Non un monumento da guardare, ma uno spazio da attraversare a piedi. Ogni ‘fessura’ è una strada, ogni blocco è un isolato: la città continua, ma come fantasma. Il bianco accecante di giorno diventa latteo al tramonto; di notte tace.

Cretto di Burri: mappa del dolore, luogo da attraversare – IL VIDEO

Il Cretto nasce all’inizio degli anni Ottanta, quando Alberto Burri accetta l’invito a intervenire sulle rovine di Gibellina vecchia. L’intento era quello di colare cemento bianco sulle macerie seguendo la griglia originaria delle strade, lasciando tra i blocchi ‘fessure’ percorribili larghe come i vecchi vicoli.

Cretto di Burri visto all'interno
Cretto di Burri: mappa del dolore, luogo da attraversare (credit: ANSA) – lacasamadre.it

Il cantiere parte nel 1984, si ferma nel 1989 per mancanza di fondi, e viene completato nel 2015, nel centenario dell’artista. Oggi l’opera copre circa ottantacinquemila metri quadrati: una delle più grandi installazioni di land art al mondo.

Perché visitarlo? Semplice: camminare nel Cretto è considerata ad oggi un’esperienza fisica e mentale. Il sole rimbalza sul bianco, il vento corre tra le fenditure, i passi diventano misura. Inutile negare che l’energia è forte e, a parlare, è il corpo che attraversa una pianta urbana. Ogni svolta rimanda a un’abitudine perduta; ogni slargo suggerisce una piazza che non c’è. È arte minimalista che vuole lasciare spazio per non distrarsi, ma un modo per tenere memoria senza trasformarla in museo chiuso.

Qualche consiglio pratico. Portate acqua, cappello e scarpe comode: d’estate fa caldo e l’ombra è rara. Meglio le ore del mattino o del tramonto, quando il bianco si scalda di ocra e il paesaggio respira. E poi, rispettate il silenzio: qui si entra come in una chiesa a cielo aperto. Se volete completare il percorso, passate da Gibellina nuova, a venti chilometri: tra piazze d’artista e architetture visionarie, capirete che il Cretto non è la fine di una storia, ma il modo più onesto di restare.

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