Il laboratorio della mente è il luogo in cui non solo viene raccontato cosa accadeva negli ex manicomi, ma molto di più.
Correva l’anno 2000 quando, immerso nel verde del comprensorio di Santa Maria della Pietà, quartiere Monte Mario, venne inaugurato il Museo Laboratorio della Mente. Dove prima c’era il padiglione VI, oggi si viene accolti in un ambiente suggestivo fatto di arte, che non vuole soltanto mostrare cosa accadeva all’interno della struttura, ma farci immergere nella mente dei pazienti allora internati.
Una sensazione forte, quasi ipnotica, che non ci fa solo osservare la condizione psichiatrica dall’esterno, ma ce la fa percepire dall’interno, con gli occhi dello stesso paziente. Si parte dalla facciata, rimasta intatta, ma arricchita da splendidi graffiti che riportano alla malinconia del luogo.
Una volta dentro, il percorso si sviluppa in tre fasi: nella prima, grazie a installazioni interattive, si cerca di far percepire le sensazioni vissute dagli ospiti del manicomio e le loro difficoltà, soprattutto per quanto riguardava la percezione della vita e del mondo intorno a loro. Poi si è pronti a un viaggio che conduce, per quanto possibile, dentro lo sguardo di un paziente – e, inevitabilmente, dentro noi stessi.
Dopo la prima fase immersiva, fatta di corridoi dove immagini e suoni proiettano corpi che battono i pugni su una vetrata invisibile, volti che cercano di fuggire, forse dal luogo o forse da loro stessi, e figure che trasmettono rabbia e angoscia, si entra nel cuore del museo.
Qui le installazioni giocano con la percezione: nella Camera di Ames lo spazio si deforma fino a sembrare irreale, mentre uno specchio che riflette l’immagine con sfasamenti irregolari costringe a interrogarsi sul tempo e sulla memoria. In un’altra stanza compare una bocca che si muove senza mai farsi comprendere: un simbolo delle difficoltà comunicative che segnavano la vita dei pazienti.
È in questo contesto che una frase campeggia come monito: ‘Da vicino nessuno è normale’. Non è solo un dettaglio scenografico, ma il filo conduttore dell’intero percorso, che ribalta i ruoli e mette in discussione le nostre certezze sulla normalità.
La seconda fase è dedicata alla creatività dei ricoverati, con opere che diventano mondi paralleli. Gli ‘orologi ferma-tempo’ di Gianfranco Baieri o le incisioni infinite di Oreste Fernando Nannetti raccontano come il dolore potesse trasformarsi in linguaggio artistico. Infine, si attraversano spazi ricostruiti del manicomio: la farmacia, la mensa con le forchette che simboleggiano i divieti, e la camera di contenzione, in netto contrasto con il verde che filtra dalla finestra.
Il percorso si chiude con una riflessione sulla psichiatria: dagli anni ’70, con la legge Basaglia, la cura ha cambiato volto, passando dall’internamento a un approccio più umano e integrato. Sapere da dove si arriva è fondamentale, perché la medicina psichiatrica è cambiata, ma non deve smettere di cambiare. La durata media della visita è di circa tre ore, con biglietti a 7€ (intero) e 5€ (ridotto).
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