Luciano Fabro

Nato a Torino il 20 novembre 1936, Fabro inizia a dipingere nel 1957, compiendo una svolta in senso “informale” dopo la Biennale di Venezia del 1958, segnata dalle retrospettive di Lucio Fontana, Mark Rothko e Otto Wolfgang Schultz Wols. Nel 1959 si trasferisce a Milano, dove s’interessa alla ricerca sullo spazio al di là della tela condotta da Lucio Fontana. Prendendo le mosse dal ready-made dadaista e dalla proposta dell’oggetto formulata dall’americano Jasper Johns in Three Flags (1958), nel 1961-62 matura una propria personale concezione di opera d’arte come oggetto sensibile e partecipe di uno spazio non più pittorico, ma concreto e reale. E, in una prima serie di opere realizzate tra il 1963 e il 1967, indaga fenomeni apparentemente semplici e banali, come il modo di comportarsi di un oggetto nello spazio, per rivelare la casualità che governa gli eventi in natura. Sin da 1963, con il testo-manifesto La mia certezza: il mio senso per la mia azione (pseudo-Bacone) in cui enuncia il rapporto dell’artista con il mondo, Fabro supporta la propria ricerca con una coerente attività teorica. Il suo interesse s’incentra sulla percezione dell’ambiente nel rapporto tra realtà esterna e interna, sull’idea di opera d’arte quale strumento necessario per leggere l’esperienza e per sviluppare nuovi piani di conoscenza. Dopo la prima mostra personale alla galleria Vismara di Milano nel 1965, dove espone opere in vetro e in tubolare metallico, è chiamato nel 1967 dal critico Germano Celant a partecipare a Foligno alla mostra Lo Spazio dell’Immagine, volta a delineare una nuova tendenza dell’arte italiana che, in sintonia con la Minimal Art, assume una dimensione architettonica e arriva a inglobare lo spazio. Im-Spazio [Im(agine)-Spazio] è il termine coniato da Celant per definire questa ricerca in cui l’immagine si trova assimilata allo spazio reale. Ricerca presto superata e assorbita dall’Arte Povera, teorizzata dallo stesso Celant per indicare una riduzione dell’opera alla realtà fisica stessa, abolendo ogni limite tra arte e vita. La serie delle Tautologie (1967-68) - in cui i titoli dei singoli lavori significano l’oggetto stesso che li costituisce - accompagna il passaggio di Fabro tra le file del nuovo movimento artistico. Nei cicli successivi, dalle Italie (1968) ai Piedi (1971) dagli Arcobaleni (1976) agli Attaccapanni (1977) Fabro ribalta la funzione simbolica comunemente accettata di forme note, la silhouette delle quali, realizzata in vari materiali, è collocata nello spazio in modi inconsueti e spiazzanti. L’intento è di indurre nel fruitore una consapevole esperienza dello spazio, compiuta con tutti i sensi e senza pregiudizi. Nei suoi lavori recupera dimensioni monumentali, una concezione sontuosa e un lavoro artigianale memore della migliore tradizione italiana (Piedi), ricorre a materiali preziosi quali marmo, vetro e seta e, soprattutto, al colore e alla luce, come testimonia la serie degli Attaccapanni esposta alla galleria napoletana Framart nel 1977. Con Hidetoshi Nagasawa e Jole de Sanna inizia nel 1978 un lavoro didattico e di teoria dell’arte nella Casa degli Artisti di Milano, esperienza da cui nasce il volume Regole d’arte (Milano 1980) e la decisione d’intraprendere la carriera accademica. Alcune delle numerose mostre antologiche che dal 1980 è chiamato ad allestire nei principali musei europei sono da lui concepite come grandi Habitat. Il primo dei quali è realizzato per la mostra curata da Celant nel 1980 al PAC di Milano. Negli Habitat la dimensione ambientale assume importanza fondante. Essi sono al centro dell’idea di “città ideale” e portano alle estreme conseguenze le ricerche di Fabro sullo spazio come campo d’azione vivo, fatto di relazioni e necessarie conseguenze tra i vari elementi presenti. Già insegnante all’Accademia di Belle Arti di Carrara, nel 1983 ottiene la cattedra all'Accademia di Brera. Se la serie dei Gioielli rievoca i grandi nomi della cultura orientale e occidentale (1981) e della tradizione romantica tedesca di Otto-Novecento (1984), dal 1984 inizia a comparire nei titoli di diversi lavori il riferimento a personaggi della mitologia greca (Euclide, 1984; Efeso, Prometeo, 1986). Contemporaneamente prende avvio il ciclo Esprit de géometrie, esprit de finesse. Fabro intraprende una riflessione sulla storia dell’arte antica e recente che, alla fine degli anni ottanta, lo porta a realizzare lavori come Paolo Uccello 1450-1989 (1989), in cui mette in discussione la prospettiva classica, e Due nudi che scendono le scale ballando il Boogie-Woogie (1989), volta a rappresentare il connubio tra i padri della cultura figurativa moderna, Duchamp e Mondrian. Negli anni novanta realizza opere pubbliche, dove affronta problemi inerenti il ruolo sociale e professionale dell’artista, il decoro urbano e il consenso della collettività (Contratto sociale, 1992, facciata del Municipio di Breda, Olanda). Confrontandosi con l’iconografia della città spesso utilizza la natura come strumento e materiale linguistico (Giardino all’Italiana, 1994, Basilea), riflette inoltre sulla rappresentazione della natura in sé (Nido, 1994, riserva naturale di Rost, Norvegia), e su quella religiosa (Izanami, Izannagi, Amaterasu, 1999, Giappone) e funeraria (Tumulus, 1999, Nordhorf, Germania). Già insignito del Premio Ludwig per l’opera e la teoria (1981), nel 1994 è nominato Accademico d’Onore dall’Accademia di Belle Arti di Firenze. Fra i suoi scritti, tradotti in varie lingue, si ricordano: Letture parallele (1973–75), Attaccapanni (1978), Vademecum (1980–96), Lettera ai Germani (1983), Arte torna Arte (1999). È invitato numerose volte alla Biennale di Venezia (1972, 1980, 1984, 1986, 1993) e a Documenta a Kassel (1972, 1982, 1992), nonché alla XII Biennale di San Paolo del Brasile (1975), alla Biennale di Parigi (1971), alla Triennale di Milano (1985), alla XI e XIV Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (1986, 2005). Tra le numerose mostre monografiche a lui dedicate dalle maggiori istituzioni culturali si ricordano quelle organizzate da: il Castello di Rivoli a Torino (1989), il Museo di Capodimonte a Napoli (1989), la Fundaciò Juan Mirò di Barcellona (1990), il San Francisco Museum of Modern Art (1992), il Middelheim di Anversa (1994), il Centre Pompidou di Parigi (1996), la Tate Gallery di Londra (1997). Su invito di Eduardo Cicelyn realizza nel 2004 l’installazione L’Italia all’asta in Piazza del Plebiscito a Napoli, che ripropone in maniera spettacolare uno dei temi principali del suo percorso artistico. Nell’ambito del progetto di arte pubblica Invito a: Luciano Fabro, Sol LeWitt, Eliseo Mattiacci, Robert Morris, Richard Serra, ideato da Claudio Parmiggiani e promosso dal Comune di Reggio Emilia, espone nel 2005 l’Araba Fenice. L’anno successivo, nell’ambito degli incontri Perché non parli? Conversazioni d'arte ospitati dallo Spazio Oberdan di Milano, interviene con Daniel Soutif sul tema della scultura. Muore il 22 giugno 2007 nella sua casa di Milano.