Anselm Kiefer
Annali delle Arti
04.06.2004 - 06.09.2004
a cura di Eduardo Cicelyn| Mario Codognato
Le opere dell’antichità greco-romana e l’arte contemporanea s’incontrano sulla soglia del mito nella mostra di Anselm Kiefer [Donaueschingen, Germania, 1945] curata da Eduardo Cicelyn e Mario Codognato negli spazi del Museo Archeologico di Napoli. L’artista tedesco, che nel 1999 ha ricevuto a Tokyo il prestigioso Premio Imperiale per le Arti, espone una selezione dei suoi lavori recenti e di grandi dimensioni, nei quali convivono simboli di cultura e di violenza, vita e morte, elevazione e distruzione: ossimori dal significato innaturale e sconvolgente quanto quel schwarze Milch (latte nero) che riecheggia nella lirica di Paul Celan, Todesfuge [Fuga di morte, pubblicata nella raccolta Papaveri e Memoria, 1952]. In Sefer Hechalot del 2001 la sovrapposizione di due scale in cemento formano imprevedibilmente la sagoma di un carro armato, sormontato da una pila instabile di libri di piombo, inutilmente pesanti e inutilmente chiusi, simbolo di un sapere negato. 20 Jahre Einsamkeit del 1991-2000 è invece un'opera formata da risme di fogli di piombo che sorreggono libri aperti, sulle pagine dei quali l'artista ha disperso il proprio seme in un rito alchemico di fertilità cosmica oltre che artistica.
Questo rapporto tra l'individuo/artista e l’universo è il tema conduttore dei tre dipinti esposti. E' presente nel cielo di Hercules, dove allude al mistero del confine celeste. E' presente tra i semi di girasole ricoperti di pittura nera disseminati sull’orizzonte di Cette oscure clarté qui tombe des étoils. L’object d’art si presenta, infine, come un accumulo insensato di cose, in cui l’artista - nato nel 1945 nella Germania post nazista - ha imparato a individuare la possibilità di una rinascita spirituale.
In un continuo confronto con la storia tedesca, la ricerca di Kiefer attraversa l'espressività di materie povere e insieme preziose, nelle quali solidifica la memoria personale e collettiva, conferendo ad essa carattere di originalità e universalità. E in questo percorso attento al passato e alle sue ombre, Kiefer coglie anche un tratto essenziale dell’esistenza partenopea: la precarietà di una vita danzata ai piedi di un vulcano.