Fabro C'est la vie

27 marzo 2019

A cura di Eduardo Cicelyn

si può concepire l'opera d'arte come un nodo problematico in cui restano avvolte le idee dell'artista e dello spettatore. l'opera come il testo da interpretare che contiene in sé la propria storia, anche dei gesti che l'hanno prodotta, e la storia di chiunque l'abbia osservata, descritta, valutata. c'est la vie è quel tipo di lavoro in cui stanno insieme l'artista che l'ha pensato, la casa di gand dove fu realizzata la prima volta nel 1986 e la bambina che poté giocarci quando era ormai solo un grande lenzuolo. poi sono venuti e verranno gli spettatori di ieri di oggi e di domani. luciano fabro cita nelle sue note relative all'opera i grafici di tristram shandy che traspongono in segni azioni ed avvenimenti piccoli e grandi dei personaggi del libro, perché proprio seguendo i tratti di uno di quelli pubblicati da laurence sterne nel suo capolavoro l'artista aveva ritagliato il grande panno di cotone. l'idea che vita e arte si sviluppino insieme secondo linee d'intreccio e di gioco, una riflettendosi nell'altra per poi capirsi o anche fraintendersi, incontrarsi e perdersi senza un fine e un destino certi, è un tema seminale dell'opera di fabro. i grafici di tristram shandy sono una specie di unità elementare del discorso dell'artista, che è figurativo ma anche letterario, concreto ma anche immaginario, che insomma è sempre l'uno con l'altro, in un dualismo che si moltiplica all'infinito. nel libro di sterne alla parola scritta si aggiungevano i grafici, ora nell'opera di fabro alle immagini in teca si affiancano testi stampati e affissi sulle pareti. arriviamo infatti ai lavori della seconda sala, le macchie di rorschach (1976) dai contorni irregolari e frastagliati, prodotte casualmente dal ripiegamento in due di fogli di carta sui quali si sono versate gocce d'inchiostro. nella scrittura di tristram shandy il lettore s'immerge in un flusso di pensieri e di storie dai contorni incerti e slabbrati che deve riordinare a modo suo secondo le immagini che gli si formano nella mente. nello stesso modo dal punto di vista della scienza funzionano le originarie macchie di rorschach, utilizzate per suscitare in chi le osserva percezioni e associazioni del tutto personali, che il lavoro dello psicologo è chiamato poi a interpretare. e' il medesimo gioco dell'artista e dello studioso dell'anima umana per tentare di capirci qualcosa, per dimostrare che c'è un senso e spesso più di uno anche in ciò che non si capisce del tutto. perché alla fin fine tutto è interpretabile; e alla verità, come sempre accade nell'arte e nella vita delle persone, ci si avvicina per progressivi tentativi, esperimenti, errori, accumulando, condividendo o contraddicendo conoscenze ed esperienze. in fondo il mondo è anche tutto ciò che sappiamo, speriamo, amiamo o non ci piace del mondo e perciò ogni fatto e ogni sogno è linguaggio, così come ogni immagine è sempre un fatto o un sogno, qual- che volta un incubo. questo è il circolo ermeneutico: ideologia, speculazione teorica, emozioni, razionalità. e la lingua dell'arte, come il pensiero, è un vertiginoso girare nel "giro" (il ge-ring) di ciò che appare di molto o di poco conto, il ripetersi delle differenze che è un lasciar essere le cose per quel che sono e un rammemorare ciò che di volta in volta si perde nell'istante medesimo che afferriamo una immagine. una buona indagine ermeneutica, come diceva fabro, ci mostrerebbe la "sprezzatura", la giocosità ironica della sua arte, il tratto quasi infantile di un'opera che prende in giro, nel suo giro, gli spettatori e gli interpreti di ieri, di oggi e certo anche di domani.