Paladino

Dal 21 Novembre 2013

A cura di Eduardo Cicelyn

Nel lavoro di Paladino quel che si dà come pittoricamente visibile è sempre il risultato di un linguaggio formale che incamera e restituisce il fantasma o i fantasmi attraverso tutto quanto può diventare o essere pittura e figura. Forse per questo le sue opere, pur essendo figurative e simboliche, perciò comunicative e allusive, evocano significati e contenuti senza mai svelarne la provenienza o il destino, solo esprimendone l’ombra, le maschere o la traccia archetipica. L’universo di Paladino non è assediato dagli spettri dell’origine, mitica o storica. Il suo originale concetto di pittura non è narrativo, per quanto inseparabile dalle immagini che si susseguono vorticosamente, in ordine sparso ma non caotico. Nessun dualismo e nessuna identità. Idea e figura sono l’indistricabile, perché si sfuggono rincorrendosi, rimbalzando da una superficie all’altra, fino a nascondersi nell’incavo di una scultura o proliferando e disperdendosi nel fluire dei segni. Il gesto del pittore è quello della mano che, per quanto possa essere veloce, non potrà mai affrancarsi dall’ombra che l’accompagna. Perciò il senso ultimo dell’immagine, la sua sostanza concettuale, non è mai esattamente definita e allude ma non ambisce a un vero referente: il lavoro dell’arte è solo un’azione ostinata, un corpo a corpo mentale che non ammette distrazione e fuga. La pittura resta pittura, il mondo è nient’altro che il mondo. Inseparabili, come la mano e l’ombra in perenne movimento. Per Paladino dipingere è un modo di vivere e di pensare la vita in tempo reale, senza scampo nella retorica del passato o del futuro.

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