Kapoor
dal 28 giugno 2016
A cura di Eduardo Cicelyn
le sculture di anish kapoor sembrano costruzioni materiali con fini trascendentali. ma non lo sono. provengono forse da storie remote e significati reconditi. ma poi non raccontano niente. più spesso si manifestano come presenze che sgorgano dal nulla quasi per spinta naturale, in forme semplici, prelinguistiche, in certi casi solo abbozzate e ancora non nominate. somigliano a volte a piante, fiori, frutti, come se si autogenerassero fluendo nello sguardo con un ritmo ciclico e una misura semplice e ordinata. non sono neanche proposizioni semplici, cioè oggetti ultimi non descrivibili e solo designabili nel senso inteso da wittgenstein, alla cui filosofia molto deve la scultura minimalista americana. avranno sempre mille nomi possibili, dice infatti kapoor. neppure raccolgono le forze vive, quei campi d'energia che da beuys a merz hanno scosso dalle fondamenta l'idea stessa di scultura occidentale. si può allora sostenere che le opere di kapoor sono concettualmente spaziali, pure astrazioni, misurazioni dell'infinito, dell'assenza più che della presenza. e riconoscere che la sua azione non è mai normativa né impositiva: se le sculture sono sospese tra materiale e immateriale, duro e morbido, solido e fluido, peso e leggerezza, luce e oscurità, anche il gesto che le mette al mondo oscilla tra forza e abbandono. come descrivere i lavori presenti in questa mostra, forme in movimento, riflettenti, alcune in via di definizione o di scomparsa? diciamo che gli oggetti scultorei di kapoor sono atti intellettuali modellati dall'etimologia incerta dell'obiectum. "ciò che è posto contro o davanti", l'obiectum, parola della tarda latinità, è ostacolo per la vista e insieme schermo che si frappone fra il soggetto di una potenza e il suo termine, come la terra tra il sole e la luna. l'obiectum per l'artista è un concetto indeterminato, possibilità tendenzialmente infinita e, come un respiro o il battito del cuore, apertura e chiusura del campo ottico. può avere forma e vita, ma non essenza né verità. per capire il punto di vista di kapoor si dovrebbe poter pensare gli oggetti insieme con lo spazio, contro kant e la sua metafisica idealistica dell'apriori, ribaltando le categorie con le quali siamo abituati a riflettere. non gli oggetti visibili nello spazio posto lì da noi, ma l'oggetto come un'unica estensione nascosta, compressa, inghiottita nelle forme sarebbe il tema principale della sua opera ormai giunta a piena maturità. noi però abbiamo difficoltà a concepire l'essere oggetto, cioè un qualcosa privo di una soggettività determinata che si costruisca in sé e per sé e ci comprenda, non una cosa realmente esistente, ma solo il contenuto di un'attività intellettuale, anzi un semplice moto dell'anima, benché niente sarebbe più vicino all'essenza dell'arte, che non ha altro scopo che produrre oggetti mentali. abbandonando i concetti di soggettività e di esperienza e riducendo l'atto di coscienza alla pura contemplazione dell'assenza e del vuoto, anish kapoor ha definito lentamente ma senza incertezze il proprio campo d'azione. che è una cosmogonia priva di trascendenza, figlia di un pensiero che non conosce il dualismo. non c'è un dentro e un fuori, solo molte immagini illusorie. perciò le sculture insistono nel raccogliere e concentrare in sé quanto più mondo esterno è possibile, come se la forma fosse una qualità interiore delle cose, irraggiungibile e intangibile. e fosse destino della scultore far sì che possa trasparire, creando un varco verso ciò che non si dà, né si può cogliere. in fondo, tutta l'arte di kapoor ci parla di un spazio che è risucchiato e condensato in oggetti che restano muti e inespressivi, perfettamente vuoti, se pure si danno come presenze corpose e smisurate (taratantara a piazza plebiscito nel 2000) o indefinite e sfuggenti come alcuni lavori qui in mostra. ogni volta, davanti alle sue opere, indipendentemente dalle dimensioni reali, si ha la sensazione che ci sia qualcosa di più che potremmo vedere e che magari intuiamo, qualcosa di più grande o di più chiaro, che ci potrebbe trascinare oltre ciò che vediamo, ma che resta come una potenza imprigionata. nel suo movimento incessante, il velo dell'arte si contorce e sembra potersi scostare, lasciando immaginare un possibile svelamento, desiderato e temuto. ma la scultura-obiectum si sporge nel vuoto di forme informi e di spazi spaziosi. nient'altro
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Senza Titolo 2016