Cattaneo
dal 23 Marzo 2023
A cura di Eduardo Cicelyn
alice cattaneo dipinge e scolpisce paesaggi con pochi colori e volumi semplici, qui quasi solo col blu, usando anche materiali opachi e traslucidi mai abbastanza densi e compatti. il vetro disegna linee orizzontali e verticali come se i muri fossero fogli di carta bianca: a destra una fuga d’orizzonte che sfuma verso l’infinito, s’interrompe, riprende; a sinistra una fila di lance puntate verso l’alto a formare una specie di cancellata che s’apre tra i balconi che affacciano sull’esterno; sulla terza parete, di fronte, un cerchio che non si chiude, forse perde pezzi in più direzioni, oppure li attrae, cerca di prenderli. ci sono forze che agiscono nello spazio segnato dal lavoro di alice, forze che spingono a guardare quello che non c’è e che però nel mancare fanno cenno di sé, alludono e nascondono. è una questione di trasparenze, cioè di qualcosa che si sfiora col pensiero, una luce che attraversa ma non risplende. le cose, come le figure della retta e del cerchio in cui si incarnano, sfuggono alla presa delle idee e restano indecise a vagare da una parete all’altra, rimbalzando di qua e di là, ombre geometriche di un mondo che non consiste più in niente. nel suo paese delle meraviglie alice cattaneo, caduta nello spazio vuoto che sta tra le mura cadenti dell’arte passata, raccoglie schegge di immagini perdute, le incolla, le lega, qualche volta le inchioda per provare a rimettere insieme un senso di cui nessuno potrà essere sicuro, da ora e forse per sempre. eppure non è suo il gesto furbo e ironico di chi decostruisce il testo dell’arte per farne commedia ad uso di spettatori disillusi, né i suoi frammenti visivi rimandano l’eco di conflitti con storie e vissuti di cui oggi sembra a molti doveroso occuparsi. il linguaggio della fantasia di alice, nome proprio e appropriato, disegna arabeschi misteriosi esplorando un campo di energia rinnovata in cui l’indecisione è la forza primaria, potenza del non saper che dire e che fare mentre si dicono e si fanno cose su cui poi, un giorno, non si sa quando, sarà necessario fermarsi a pensare. le linee, i colori, le forme sono i tasselli che l’artista dispone nello spazio per cercare un po’ di equilibrio sulla superficie di concetti instabili. insieme, da più punti di vista, a suggerire immagini su immagini, delle quali bisogna disfarsi in tempo, prima che un qualche significato le faccia ricadere nei luoghi comuni della pittura e della scultura o nel generico territorio di confine dell’installazione. restando alla fine quel che sono da sempre: linee, colori e forme vaganti nel silenzio, come se l’esposizione agli altri, a ciascun altro, fosse un’e-sperienza riservata e imprevedibile. l’arte è incalcolabile ma l’indecisione dell’artista non è incertezza. niente di meno casuale del modo in cui alice cattaneo lascia liberi i suoi lavori di esprimersi nello spazio danzando l’uno con l’altro in una coreografia appena accennata. mentre nella sala dei vetri il paesaggio visivo si struttura in una dinamica di linee che vanno in molte direzioni, nell’altra sala, quelle delle sculture, i piccoli volumi si arrampicano sulle pareti dimenticando materie e pesi. un altro paesaggio, la medesima fantasia: l’arte del futuro in bilico tra molti punti sospensivi.