Domenico Bianchi nasce a Sgurgola, in provincia di Frosinone, nel 1955. Si diploma in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e debutta nel 1977 con una personale organizzata dal gallerista Ugo Ferranti al Fine Arts Building di New York, dove espone una serie di disegni in cui analizza, sulla base di un’immagine astratta, materiali quali cera, legno e metallo. Nel 1979 partecipa alla rassegna Europa ’79 a Stoccarda e si avvicina agli artisti del gruppo di San Lorenzo, con i quali inizia a esporre in numerose mostre collettive, tra le quali si ricordano: Ateliers, curata da Achille Bonito Oliva nel 1984 negli studi degli artisti dell’ex-fabbrica Cerere a Roma e, nello sesso anno, De Umbris Idearum alla galleria Sperone Westwater di New York, dove in seguito Bianchi sarà più volte presente con mostre personali. Nel 1984, in occasione della personale presso Salvatore Ala a New York, sperimenta una tecnica di pittura su cera - ripresa dall’encausto di età romana e usata nella seconda metà degli anni 50 anche da Jasper Johns nelle serie Bandiera e Bersaglio - realizzando dipinti simili a intarsi rinascimentali. Nel 1984 e nel 1986 é invitato alla 41a e 42a Biennale di Venezia dirette da Maurizio Calvesi. La sua ricerca in ambito astratto trova inoltre riconoscimento internazionale nelle collettive The Spiritual in Art. Abstract Painting 1890-1985 e The Image of Abstraction, entrambe organizzate dal Los Angeles County Museum (1986 e 1988) ed è riconfermata nel 1996 dalla collettiva Nuevas Abstracciones al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid. Alla cera si aggiunge, quale superficie pittorica, il gesso policromo, che caratterizza le opere del 1985-87. Nella personale del 1987 alla galleria Sperone Westwater di New York espone due grandi opere incastonate in un muro di tegole gialle, che anticipano una riflessione sulla pittura in funzione architettonica affrontata, molti anni dopo, sia nella doppia personale Intorno a Borromini, organizzata con Franz West all’Accademia d’Ungheria a Roma (2000), sia nell’opera site specific concepita nel 2005 per il museo Madre di Napoli. Nel 1989, in occasione della sua personale curata da Rudi Fuchs, Johannes Gachnang e Cristina Mundici al Castello di Rivoli, inizia a usare il computer per trasformare il disegno bidimensionale in forma sferica, di cui esplora le infinite variabili segniche. Questo elegante arabesco, memore della linea a frusta dell’Arte Nouveau, diventa il soggetto indiscusso dei suoi lavori, costituendone il nucleo generatore di forma, movimento e luce. Dopo la partecipazione alla 3a Biennale di Istanbul e alla collettiva Terrae Motus alla Reggia di Caserta (1992), nel 1993 la Galleria d’Arte Moderna di Bologna organizza una sua ampia personale, seguita l’anno dopo dallo Stedelijk Museum di Amsterdam, dove Bianchi espone dipinti a olio e cera su fibra di vetro realizzati. Contemporaneamente, è presente nella sezione Opera italiana alla 45a Biennale di Venezia diretta da Achille Bonito Oliva (1993). L’incontro, nella seconda metà degli anni 90, con alcuni esponenti dell’arte povera, in particolare Jannis Kounellis e Mario e Marisa Merz, porta Bianchi ad approfondire la ricerca sulla forza espressiva dei materiali grezzi, aggiungendo alla cera foglie d'oro, platino, argento, palladio e rame. La trasparenza luminosa diviene elemento primario della poetica dell’artista, insieme a una dimensione spaziale ricercata nella cera incisa, intagliata o graffiata con tratti assolutamente minimali. Da qui l’inclusione dell’artista nella collettiva Minimalia curata da Achille Bonito Oliva nel 1999 al P.S.1 MoMA di New York, tesa a esplorare la tendenza alla riduzione linguistica che attraversa l’arte italiana sin dalle avanguardie d’inizio secolo. Sulla centralità della luce è impostata nel 2002 la personale ospitata dal Centro per le Arti Visive di Pescheria. Data allo stesso anno la partecipazione alla collettiva Grande Opera Italiana curata da Achille Bonito Oliva, con la collaborazione di Eduardo Cicelyn e Angela Tecce, in Castel Sant’Elmo a Napoli. Nel 2003, con un allestimento pensato appositamente per il MACRO di Roma, Bianchi presenta una selezione di 140 opere che riassumono il suo percorso creativo degli ultimi quindici anni. Presente nel 2005 all'Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo per la rassegna Soltanto un quadro al massimo, espone nel 2007 presso lo spazio romano RAM radioartemobile nella collettiva Camere #4. Il suo arabesco, potenzialmente infinito e capace di coniugare nella tecnica e nella materie utilizzate passato e presente, compare infine nel 2009 nella collettiva In-finitum di Palazzo Fortuny a Venezia. Vive e lavora a Roma.
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Domenico Bianchi
Senza Titolo, 2013Cera e sfoglia di palladio su legno
204 x 164 cm
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