Arienti
dal 16 gennaio 2020
A cura di Eduardo Cicelyn
al contrario di quanto ricercano i fotografi di professione ma anche di ciò che desideriamo ciascuno di noi quando imbracciamo una fotocamera, stefano arienti insegue e ama nelle immagini che ritrae il tratto più comune, diciamo il poco che può accadere, se non proprio il niente che le distingua. in questo movimento ostinato e contrario, appuntando nell'obiettivo dettagli, scorci, forse residui di visioni passeggere, inquadrate quasi d'istinto, senza troppo pensiero, c'è l'artista che riflette con leggerezza e acume sul concetto di realtà di cui può disporre e sui limiti che sarebbe vano e illusorio credere di poter oltrepassare. con i puzzle e i pongo arienti, in passato, ha manipolato e manomesso alcune immagini iconiche della storia dell'arte, dichiarando che nel modo contemporaneo l'arte è processo di costruzione e di ricostruzione del visibile e del conoscibile. ora le meridiane, un lavoro che dura ormai da circa sette anni, attraversano in lungo e in largo le immagini fotografiche, per ricominciare ex novo a dipingere tutto il mondo che è sotto i nostri occhi, a portata di mano e di clic. con un'apparente disinvoltura, ancora una volta come se niente fosse. se fino a ieri si trattava di restituire vita e movimento alle opere d'arte del passato, oggi l'idea sembra essere quella di giocare la partita in diretta, nel tempo che il sole si muove e fa il suo ciclo intorno alla terra, lasciando che il proprio corpo d'artista si concentri e si disperda, scorra o anche tremi e s'inceppi qua e là. così si spiega perché le immagini debbano essere quanto più semplici e sincere, superfici verosimili sulle quali possa scivolare la mano del pittore mentre insegue il sole filtrante dalle finestre dello studio o di case familiari. l'occhio della mente sceglie l'immagine col filtro meccanico della camera e il pennarello estensione del corpo intercetta la luce e ne cattura i segni che avanzano sulla carta disegnando tempo e spazio nuovi, come da sempre ha fatto ogni pittore. d'altronde non può essere che così come è stato sin dall'inizio: la luce, il colore, i segni e il corpo dell'artista che è strumento e medium. tuttavia per arienti, come peraltro per ogni pittore moderno, niente è più come prima. e non è difficile accorgersene, se soltanto ci disponiamo a vedere il conflitto, si potrebbe dire il caos calmo che anima queste immagini così apparentemente comuni. i puzzle e i pongo dissimulavano l'integrità della visione, lo spessore iconico e l'eternità illusoria dello sguardo artistico, mentre le meridiane sono la pittura che si inscrive sullo schermo e disturba, interferisce, rompe e qualche volta architetta in modi diversi il mondo quotidiano proiettato sulla carta fotografica. il gesto dell'artista che corre dietro la luce segna lo spartiacque tra ciò che vediamo, pensiamo e agiamo. si deve essere veloci, ma anche andare a tempo, seguire il ritmo, non anticipare la battuta del sole. qualunque cosa, la più banale, appaia davanti ai nostri occhi, solo se la pensiamo e la lavoriamo con pazienza, quotidianamente, noi possiamo comprenderla e qualche volta addirittura farla crescere e migliorare, magari trasformarla in altro. niente è scontato. tutto accade se non agiamo a caso, giusto per provare, ma invece assumiamo almeno una regola, evitando eccessi e scorciatoie. tracciare una meridiana per ripetere il gesto antico della misurazione del tempo nello spazio è una possibilità. stefano arienti, nato contadino e diventato agronomo, è il pittore moderno che pensa il proprio mestiere con saggezza mettendolo alla prova quotidianamente, come fosse una delle leggi della natura da rispettare, affinché nascano frutti e non inaridiscano i semi che vengono dalla terra. perché il raccolto sia buono e l'equilibrio delle cose non sia confuso e travolto dal predominio inconsulto di tecniche artificiali, inconsapevoli dell'ordine antico della realtà, occorre che i concetti dell'arte siano precisi e funzionino bene, giorno per giorno. non c'è bisogno di capolavori, sembra dire il pittore arienti. abbiamo invece la necessità che non si spenga mai la luce di quel pensiero pieno d'arte che ha sempre avuto cura del mondo.