Dynys

dal 22 ottobre 2020

A cura di Eduardo Cicelyn

che cos'è l'opera d'arte? prima di tutto una cosa. la cosa che porta in sé una domanda, la domanda di fondo ovvero la domanda che è nel fondo. se si pensa a tutta la produzione di chiara dynys, variabile, multiforme, come si dice eclettica, in profondità, sotto una superficie di colori, materie, linguaggi diversi si può avvertire la scossa che spinge da un punto all'altro apparentemente distanti in un continuo rimbalzo emotivo e intellettuale. fare qualcosa, qualunque cosa ma senza fretta, perché possa accadere che un velo si squarci e che un'immagine, fosse pure una sola tra le tante, risalga in un baleno dall'oscurità del fondo, come una luce improvvisa, il bagliore di un senso sottile e sfuggente. qui forse è il tratto femminile dell'opera dell'artista mantovana: la pazienza di un'attesa laboriosa mentre la "cosa" da fare cresce ed evolve fino a prendere la sua strada nel mondo. un femminile che non è attitudine domestica, uno stare vigili e sicuri tra le mura di casa, perché al contrario diverse connessioni esterne sono necessarie affinché ogni cosa, piegata e ripiegata, trovi alla fine la sua ragione di vita. da molti anni chiara dynys sperimenta con la collaborazione di tecnici e artigiani dai molti saperi, incontrati in luoghi spesso remoti, materie e procedure compositive in alcuni casi determinanti per la realizzazione di progetti altrimenti impossibili. il suo modo di aver cura delle proprie idee e di affidarsi con entusiasmo agli altri per fare meglio non temendo l'intrusione dell'estraneo, anzi lasciandosi fecondare dalle nuove scoperte, questo fare arte con dedizione estrema cercando il calore del contatto con altre mani e menti esperte è ciò che rende particolare e notevole il lavoro della dynys. in un ambiente dove conta moltissimo specializzarsi per ambire a un'identità chiara e distinta, la sua figura morbida e duttile incarna la socievolezza del fatto artistico, come procedura empatica e partecipativa. le sue cose, che lei qualche volta definisce dispositivi, non sono congegni astrusi. sono opere sempre aperte, piene di luce, come pervase da un ottimismo senza remore. vanno in molte direzioni perché pensano positivo e non hanno paura di perdersi vagando nel mondo alla ricerca dei propri significati. questa cosa che chiamiamo arte non è niente di sicuro, tuttavia vale la pena essere lì a lavorare ogni giorno, prendere o lasciarsi portare dalla corrente, essere fluidi, malleabili e senza certezze. la generazione di chiara dynys ha lavorato molto sul concetto di arte in relazione alle infinite possibilità di linguaggi innovativi già tutti sperimentati, forse esauriti e ormai consegnati alla storia. una certa ingenuità, l'indecisione tra varie opzioni, un girare a vuoto quasi programmatico, giocando a nascondersi o presentandosi senza veli, sembrano modalità espressive comuni tra diversi artisti apparsi sulla scena internazionale dalla metà degli anni ottanta. il punto di vista concettuale della dynys, condiviso dalla maggioranza dei suoi coetanei sebbene articolato in modi completamente diversi, è soggettivo e tiene in gran conto la relazione tra i sensi e l'intelletto nella costruzione dell'opera. il codice non produce più enunciati astratti. entra nella vita e nell'esperienza concreta dell'artista. e' linguaggio che si fa nel mondo con tutte le sue ambiguità. perciò i kaleidos sono letteralmente forme belle in cui specchiarsi o idee platoniche in fuga verso l'iperuranio. e la blancheur con i suoi angoli aguzzi in cui si frantuma lo splendore canoviano infligge la nostalgia di una bellezza ideale, che è biancore assoluto, pallore mortale. che cosa è l'arte, allora? forse la lotta senza fine tra la vita e la morte, tra corpo e anima, tra materia e linguaggio. magari, direbbe chiara dynys con più semplicità, l'aver cura del modo in cui le cose vengono al mondo e sentirsene responsabili finché c'è mondo.

Chiara Dynys | Opening 22 ottobre 2020